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JOURNAL OF EURO ASIA TOURISM STUDIES

VOLUME III – December 2022
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Sacræ Stationes. Religious processions, cartography and emotional tourism as prerequisites for local development: possible cases of “smart destinations”

Premessa

All’interno dei processi di tutela, valorizzazione e messa in rete del patrimonio culturale materiale e immateriale, un ruolo particolare possono avere i siti santuariali e alcune espressioni religiose ad essi collegate, le processioni, che si profilano come beni identitari connotanti i territori per il forte legame tra luoghi, fedeli ed edifici di culto. A questo proposito, il protocollo di intesa siglato tra la Regione Autonoma della Sardegna (RAS) e la Conferenza Episcopale Sarda (CES) sottoscritto nel 2016, il quale prevede esplicitamente l’attuazione di interventi per il recupero di edifici di culto aventi valore storico-culturale (come le chiese campestri), consente di chiamare in causa proprio le processioni, unitamente alle celebrazioni ad esse relative. Si può, allora, porre l’accento sui percorsi che i fedeli intraprendono in occasione di occorrenze liturgiche particolari, sovente richiami che travalicano il limite amministrativo di appartenenza della singola chiesa. Itinerari che, oltre ad attrarre migliaia di partecipanti, si qualificano come veri e propri rituali di grande valore religioso e sociale, i quali, per molti aspetti, acquisiscono una forma assimilabile a quella del turismo emozionale ed esperienziale. Non sempre, però, queste espressioni di fede sono note a chi cerca nuove forme di viaggio, essendo ancora lontane dai circuiti di diffusione globale favoriti dalla tecnologia, ed è evidente – in considerazione dell’interesse riscosso da quelle più note – che possano essere poste alla base di ulteriori processi di sviluppo e di promozione territoriale. Di fatto, il percorso processionale presenta una moltitudine di aspetti in grado di suscitare negli outsider una relazione empatica con l’emotività corale vissuta dai fedeli durante lo svolgimento del rito e coi luoghi della partecipazione popolare. Sentimenti che diventano parte integrante di atmosfere culturali, animate dal sacro mescolato al profano, in grado di proiettare il territorio in uno scenario unico e irripetibile, difficilmente rappresentabile e, proprio per questo, di forte valore identitario. Emergono, cioè, negli eventi processionali, i presupposti per trasformare un fatto culturale in una condizione di intrinsecità per quel turismo legato alla sensibilità del singolo individuo, che può divenire, se opportunamente divulgato attraverso le reti con azioni di marketing territoriale, un fattore di promozione capace di implementare l’attrattività e lo sviluppo del territorio sul quale insiste.

I percorsi della fede rappresentano, pertanto, un bene di inestimabile qualità meritevole di valorizzazione e, al loro interno, le processioni possono configurarsi come beni culturali immateriali di eccellenza che possono svolgere, in seno al turismo religioso-culturale, “un ruolo di primo piano per accrescere l’attrattività delle aree rurali, investendo sul capitale umano e sulla valorizzazione del patrimonio culturale [in quanto] concentrato di conoscenze, capacità e tradizioni che, nel complesso, concorrono a definire l’identità dei luoghi in grado di generare percorsi virtuosi ed esternalità positive” (Podda, Secchi, & Lampreu, 2020, p. 45)[1].

Da un punto di vista liturgico l’accesso processionale ad un focus celebrativo si connota come sequenza rituale liminale (Valenziano, 1993). In esso si concentrano, cioè, valenze introitali di grande portata simbolica, laddove, per esempio, si introducano nei luoghi della festa le immagini di culto, come anche i libri sacri, gli ex voto, le offerte e le stesse persone, nonché gli animali da cui la vita e il lavoro in certa misura dipendevano (buoi, cavalli, ecc.). Il percorso processionale, perciò, non può prescindere da una valutazione in chiave territoriale, essendo un elemento culturale di forte valore identitario, adatto a creare, se sorretto adeguatamente da buone pratiche territoriali, attrattività e valori.

In questo senso, trattandosi di fenomeni direttamente connessi al territorio, la cartografia potrebbe giocare un ruolo di importanza fondamentale, soprattutto se ci si riferisce a quella digitale, in quanto i percorsi (anche prescindendo dai temi che li caratterizzano o dalle motivazioni che spingono al viaggio), per poter essere colti nella giusta dimensione e localizzazione geografica, devono essere descritti graficamente. I luoghi e i loro simboli, le “tratte” da percorrere e l’ubicazione, le attrattività e i servizi, così come i rischi e le difficoltà o i punti di partenza e di arrivo, unitamente alla strada per giungere alle località intercettate dal viaggio, sono tutti elementi che, per essere raccontati, non possono prescindere da una carta, l’unico strumento in condizione di definire potenzialità e caratteri dei percorsi processionali per quei viaggiatori desiderosi di esperienze nuove e di emozioni legate alla fede e alla preghiera, ma anche un mezzo adeguato a rafforzare la fruizione smart della destinazione turistica nuova (in questa ipotesi). Più precisamente, la rappresentazione è fondamentale per individuare l’esistenza di quelle condizioni che consentirebbero di ampliare e rafforzare il percorso di sviluppo, cogliendo, ad esempio, i rapporti territoriali tra i singoli riti, processionali e non, e fornendo nuovi stimoli e ideazioni da mettere in campo per l’attrattività, come nel caso della festa in onore di San Costantino a Sedilo, in provincia di Oristano.

Prospettiva epistemologica

I percorsi processionali, che dal punto di vista del senso originario appartengono a quelli religiosi, possono essere considerati manifestazioni che legittimano il rapporto tra fede e territorio, all’interno di uno status grazie a cui un fedele può essere anche un turista e viceversa. Per questo motivo l’analisi non può che investire direttamente quella branca della geografia tesa a valutare le ricadute spaziali delle relazioni tra cultura e territorio. E per quanto il binomio geografia – cultura possa apparire definitivamente acquisito dal mondo scientifico, sembra opportuno ricordare alcuni assunti che sostengono il discorso portato avanti dalla geografia culturale, oggetto formale di questo discorso. In primo luogo, le ragioni che determinano lo strutturarsi di un corpo sociale attorno a credenze condivise, a tradizioni comuni e simili, non possono sfuggire a chi si occupa di geografia per il semplice motivo che non presentano immediatamente il tratto della commensurabilità e, perciò, dell’apprezzabilità quantitativa di cui il geografo ha solitamente bisogno. In secondo luogo, per quanto la geografia si avvalga di metodologie sempre più raffinate e di strumenti via via più performanti, non può trascurarsi come essa “debba anzitutto comprendere, cioè descrivere e spiegare, come gli uomini vivono nel mondo, vivono il mondo, lo mettono in valore, ma anche lo modellano ad immagine dei loro sogni e gli conferiscono un senso” (Claval, 1995). In ultima analisi, non c’è fenomeno umano del quale la geografia non tenga conto nel suo sforzo di restituire un’immagine del mondo, ossia di tutto ciò che concorre a strutturare e definire la cultura di un popolo quale sistema di realtà (materiali e immateriali) radicato territorialmente, relativo ad una storia specifica, capace di generare paesaggi dal forte valore identitario, con particolari economie, consuetudini sociali, religiose, ecc.

Nel quadro della geografia culturale, dunque, l’esperienza del viaggio – in questo caso specificamente processionale – assume i connotati della visita ai luoghi in cui particolarmente si concentra l’identità di un gruppo umano, dei rapporti che si stabiliscono al suo interno e con il territorio, della conoscenza reciproca tra chi si sposta e chi si incontra. Già l’imminenza del viaggio, per il suo contrassegno di eccezionalità, dato l’inserirsi delle processioni nel contesto non ordinario della festa, si qualifica in maniera del tutto originale, sia in termini di interiorità che di apparato: aspettative e speranze, per un verso, segni sacri inusualmente fuori dalle chiese dall’altro, ma strettamente connessi ai luoghi.

L’aspetto forse più rilevante, bisogna riconoscere, del pellegrinaggio di cui si parla è, sì, il raggiungimento della meta (chiesa o altro sito di interesse), con i momenti celebrativi che esprimono il ringraziamento per aver compiuto il percorso stesso, ma principalmente il viaggiare tout court, fine infravalente, perciò considerato per i valori che i viaggiatori esprimono partecipandovi. In questo senso, i paesaggi di cui si fa esperienza sono quelli reali del contesto celebrativo e dell’intorno, certo, ma essenzialmente quelli dello spirito.

Sulla base di queste considerazioni si imposta la possibilità stessa che il turista, il quale non voglia limitarsi a mero spettatore ma che intenda entrare a far parte del corpo sociale che procede in un’esperienza spirituale densa e ricca di valori, vi partecipi uscendone arricchito e con il desiderio di reiterarla. In altre parole, l’esperienza del turista non distratto è quella che guarda da dentro l’itinerario, così che i monumenti e gli oggetti, le vesti e le abitudini, i canti e le celebrazioni cesseranno di essere cose solo artisticamente valide tra altre per acquisire lo statuto di segni significanti, rimandi ad una profondità esistenziale la quale vuole essere riconosciuta e non soltanto goduta superficialmente. Questo perché “il turismo è trasversale a culture diverse, ma tale trasversalità è positiva solo per chi sa capirla nei suoi valori più profondi, spesso difficili da cogliere al primo sguardo” (Corna Pellegrini, 2005).

In considerazione del fenomeno balneare che ha enfatizzato un aspetto geografico dell’Isola in ordine ad un turismo prettamente stagionale, con la conseguenza di una considerevole fortuna degli insediamenti lungo i litorali, è inevitabile notare come l’effetto collaterale più eclatante di tale sovraesposizione sia stato la ridotta e, talvolta, mancata sensibilità nei confronti dell’altra Sardegna, quella interna, dove tutto sembra “costruito all’insegna della difesa e dell’emergenza” (Andreotti, 2000). Perciò, qui si prospetta la possibilità di un’esperienza turistica alternativa, al di là del discorso relativo alla destagionalizzazione ed alla naturale vocazione delle zone litoranee, e si ipotizza la presenza di un turista interessato ad aspetti autentici ed affatto epidermici della cultura sarda più sentita. Una tendenza legata a due fenomeni dai profili contradditori, ma collegati tra loro, tipici della cultura contemporanea: il globalismo e il localismo. Da una parte, cioè, si pone l’invasività di comportamenti e valori propri della società industriale, moderna e post-moderna, dall’altra emerge un’idea di popolo su cui fondare il senso di appartenenza ad un gruppo e di distinzione da altri o da comunità nazionali. In questo quadro, nondimeno, se si sente il bisogno di dare risposta alla domanda di radici e di divulgarne la conoscenza, è vero anche che la cultura popolare, in quanto patrimonio tradizionale di una comunità particolare, può correre il rischio di una valorizzazione relativa alla sua immediata spendibilità di fronte ad una cultura di massa (folklorismo), con una percezione deficitaria dei valori che vi soggiacciono.

Il fenomeno processionale: inquadramento storico-semantico

La processione (dal lat. procedere, incedere, andare avanti) è un fatto di notevole importanza nell’ambito del rito, religioso e non. Si tratta di una marcia a carattere cerimoniale e comunitario e rappresenta una sequenza cultuale piuttosto diffusa in tutte le latitudini e in ogni tempo. In essa sono distinguibili un punto di partenza e uno di arrivo oppure, nel caso siano coincidenti, emerge l’idea della circolarità e, perciò, l’atto della circumambulazione. Accompagnata da canti e preghiere, è solitamente un’azione di massa e corrisponde, più in particolare, ad un momento nativo della storia del teatro, laddove attori e cantori collaborano all’elaborazione di un percorso spirituale, catartico, e il pellegrinaggio che ne risulta esprime i linguaggi della coreografia, della drammaturgia e della prossemica (Gregoire, 1992; Terrin, 1992).

Dal punto di vista antropologico, non pochi storici delle religioni vi scorgono l’inizio di una danza, lenta, al passo, scandita da percussioni e che potrebbe rappresentare la figura elementare della parata, oltre che, come si diceva, mostrare forti analogie con la cinesica teatrale, le cui figure presentano i connotati coreografici della presa di possesso di uno spazio, sia da parte dell’uomo che della divinità. Essa è molto rappresentativa dell’itinerario spirituale e richiama il fatto che il corpo umano assume posture naturalmente dinamiche piuttosto che statiche e, di fatto, fenomenologicamente, la processione afferisce alla categoria del percorso sacrale, dell’accesso al santuario, del rito iniziatico graduale e di quello apotropaico (Guardini, 1980).

Per il fatto di riflettere, in un certo senso, i moti astrali e richiamare molte immagini archetipiche, essa esalta la pluralità ed il movimento tra luoghi, aiutandosi con il ritmo e la coralità. Ancora, poiché un altro suo fondamentale scopo è quello di accompagnare un simulacro, comporta aspetti teoforici per i quali la divinità si degna di stare a contatto con l’ambiente profano e, nella sua benignità, visita gli uomini concedendo loro ciò di cui hanno necessità per vivere. Il sostanziale simbolismo dell’incedere assieme, poi, risponde al bisogno primario di aggregarsi, per cui un gruppo religioso acquisisce compattezza. Si cammina non soltanto per giungere in un oltre ma anche per vivere la strada, e la processione, nell’immagine della fila che avanza lentamente, si carica dei sensi di omaggio al segno sacro con cui si accompagna, aggiungendovi quelli della penitenza, della supplica e del ringraziamento.

Nella storia del culto cristiano, l’importanza di differenti tipologie di processione fa emergere la loro rilevanza ma, in generale, permane il carattere accessorio e, in un confronto con le prassi sacramentaria ed eucologica ufficiali, condivide con queste il connotato di forma espressiva delle manifestazioni cultuali liturgica e popolare.

Fintanto che la cristianità non poté godere di piena libertà religiosa non si pensava alle processioni, le quali compaiono a seguito della pace costantiniana, sempre più numerose. Con la fine delle persecuzioni, infatti, ci si dedicò a dare una sepoltura dignitosa ai corpi dei cristiani martirizzati: in questo modo nacquero i luoghi di culto loro dedicati, nel sito stesso del martirio o in altri, con la conseguente traslazione delle reliquie.

Tra le più celebri e solenni processioni dell’antica liturgia romana compaiono quelle lustrative, distribuite nei tre giorni che precedono l’Ascensione di Cristo (tra il 30 aprile e il 3 giugno), le quali cristianizzavano gli ambarvalia dedicati a Marte in cui, collegandosi al modello rurale della società, si impetravano le benedizioni del dio sui lavori agricoli e, generalmente, consistevano nel girare per i campi da esorcizzare e benedire. Molto antiche sono, inoltre, le processioni straordinarie per causa pubblica, sia in rendimento di grazie sia in caso di calamità, con carattere di supplica o penitenziali. Durante il Medioevo si attesta una notevole sensibilità a tale modo di pregare, accompagnato da digiuno e orazioni, spesso promosso da confraternite che usavano portare, durante il rito, i piedi scalzi, le vesti di sacco, la cenere sul capo, il cilicio, un velo sul volto, ecc. Sempre in epoca medievale prese consistenza il fenomeno delle processioni eucaristiche, come viatico e prolungamento della Messa, con le connotazioni lustrativa e di adorazione. Nel corso dei secoli, assunsero sviluppi di tipo devozionale, spesso per voto pubblico, con un’effige, statua o reliquia, per le vie delle città e dei villaggi.

Nell’attuale liturgia romana, tutti i libri rituali parlano di spostamenti processionali, anche se in maniera diversa: sia in riferimento ai movimenti di un gruppo di ministri o di fedeli all’interno di un rito (ingresso, offertorio, ecc., qualificati come processioni in senso lato), sia a quelle legate ad una particolare occorrenza del circulus anni (a norma degli stessi testi oppure delle consuetudini delle varie chiese), sia, infine, a quelle straordinarie, indette per speciali motivazioni pubbliche (processioni in senso stretto) (Rainoldi, 1992).

Nel Sud mediterraneo sono ancor oggi molto sentite le processioni della Settimana Santa, che non è difficile vedere quale estensione delle sacre rappresentazioni paraliturgiche medievali, durante le quali erano (e sono) inscenati i misteri della morte e resurrezione di Cristo, della partecipazione ad essi della Madonna addolorata, dell’incontro del Risorto con la Madre il mattino di Pasqua: tutte riscuotono una grande partecipazione emotiva e costituiscono manifestazioni popolari di forte impatto e significatività (Agostino, 1997; Martimort, 1987; Righetti, 1964). Di indole pasquale sono, poi, i cortei funebri, processioni scandite in almeno tre stazioni (la casa luttuata, la chiesa in cui si tiene la liturgia esequiale ed il luogo della sepoltura) e con una marcata accezione escatologica, per cui il defunto è accompagnato dalla comunità in una dimensione altra, non solamente fisica ma ultraterrena (Castellano, 1978).

In Sardegna, il Concilio Plenario Sardo (CPS) tenutosi nel periodo 2000-2001 registra il fenomeno in analisi nel quadro di una disamina della pietà popolare, precisando che essa “si manifesta anzitutto nelle espressioni comunitarie: le novene, i tridui, le veglie in preparazione delle feste specialmente della Madonna e dei Santi patroni; le processioni; i pellegrinaggi ai santuari nell’Isola; le celebrazioni extraliturgiche della Settimana Santa; la Via Crucis; le feste patronali; la venerazione delle reliquie. Durante il tempo della novena per le feste di alcuni santi, il popolo usa dimorare nei locali costruiti intorno al santuario, [ossia] nei muristenes, o cumbessias, o novenariu. Particolarmente sentite e significative sono le processioni legate a tali feste, o durante la Settimana Santa e la Domenica di Pasqua. Sono realtà che una parte del popolo sardo vive intensamente, da protagonista, coralmente. In esse la gente riacquista la dimensione comunitaria e festosa, superando il suo istintivo individualismo, riconoscendosi come parte del tutto, e fuoriuscendo dal chiuso della vita quotidiana” (CPS, 112, 4)[2]. L’Assise, inoltre, specifica che “la pietà popolare, nella sua vena genuina, è espressione di aneliti di preghiera e di vitalità carismatica. Di fronte a celebrazioni liturgiche eseguite con precisione formale, ma talvolta fredde e distanti, quasi senz’anima, la pietà popolare riattiva il ruolo partecipativo del popolo, ridona spazio alla gratuità dei gesti e alla ricchezza simbolica ed espressiva dei segni, esprime in modo vitale la comunicazione circolare tra Dio e il suo popolo. Essa può offrire alla liturgia un dinamismo di creatività che, se umilmente colto, dà indicazioni e stimoli al non facile compito di incarnare la preghiera della Chiesa universale nel “genio” della comunità locale” (CPS, 114, 2)[3].

Il viaggio e la fede

Il turismo legato alla fede, connotato dal percorso che un viaggiatore compie per recarsi nei luoghi in cui sono presenti edifici di culto di interesse storico-artistico e di preghiera è, com’è noto, un fenomeno di particolare interesse, per l’entità dei movimenti di persone ad esso collegate e per il sistema di relazioni e di attenzioni che sono in grado di generare, con ricadute territoriali importanti sotto il profilo dello sviluppo economico e occupazionale. Una tipologia di viaggio la cui motivazione ha origini assai antiche e rappresenta, forse, la prima forma di turismo diffuso originatasi in maniera quasi spontanea presso diverse civiltà e affermatosi sistematicamente nel mondo cristiano dall’epoca delle Crociate per la conquista della Terra Santa. A partire dall’anno Mille, infatti, i luoghi di devozione cari alla cristianità, come Roma, Santiago di Compostela e Gerusalemme (solo per citarne alcuni), hanno dato origine a considerevoli e continui spostamenti di persone (di varie età, estrazione sociale e culturale) che si muovevano lungo tracciati viari o “itinerari” che, in qualche modo, si sono affermati nel tempo, fino ad essere istituzionalizzati dalla tradizione la quale ne riconosce, ne condivide e ne promuove la portata simbolica. Questa antica viabilità ha segnato e strutturato iconicamente percorsi ancora esistenti, i quali sono divenuti oggetto di particolare interesse dei territori attraversati e, sempre più spesso, posti alla base di nuovi progetti di sviluppo locale in quanto ritenuti capaci di innescare processi di crescita e generare flussi turistici in cui pellegrino e pellegrinaggio assumono una significazione altra che coniuga la dimensione sacra e quella profana[4].

La molteplicità dei campi di osservazione generata dal turismo religioso è, pertanto, molto ampia, soprattutto se si considerano le relazioni che i pellegrinaggi sono in grado di stabilire col territorio attraversato, ciò anche prescindendo da quello generato nelle aree urbane, in cui, generalmente, sorgono i principali, e riconosciuti internazionalmente, edifici di culto delle diverse confessioni religiose.

Tali aspetti sono confermati dai numerosi studi relativi agli impatti del turismo religioso sui territori interessati, tutti ampiamente concordi nella valutazione delle ricadute positive derivanti alle economie locali dalla presenza dei pellegrini indotta da un luogo santuariale fortemente radicato nella tradizione e nella cultura religiosa[5]. Sulla base di un’indagine condotta nel 2017 a scala mondiale dall’Istituto Nazionale sulle Ricerche Turistiche (ISNART) e Unioncamere, un turista su cinque viaggia per motivi legati alla fede originando un flusso di 330 milioni di presenze e un fatturato annuo di circa 18 miliardi di dollari; in Italia, invece, il turismo religioso genera ogni anno un movimento di circa 3 milioni di persone, per un totale di 8,6 milioni di pernottamenti. Secondo i dati forniti dall’United Nations World Tourism Organization (UNWTO) per il 2016, invece, la motivazione religiosa nel 71,9% di casi rappresenta la principale ragione di scelta del soggiorno, di cui il 37% è legato alla partecipazione ad eventi di carattere spirituale (Podda et al, 2020). Un fenomeno in costante crescita, soprattutto se si considera che l’incidenza del turismo religioso, rispetto al totale delle presenze, è compreso tra l’1 e il 4% e nel nostro paese la spesa media dei pellegrini stranieri è pari a 53,8 €, contro i 57 € pro capite degli italiani (ISNART, 2019).

È fuor di dubbio come le località che hanno segnato la storia della Chiesa e del culto cristiano abbiano una maggiore risonanza in questo senso – basti pensare, solo per citare i casi più eclatanti, alla basilica di San Giovanni a Monterotondo, a quella di Sant’Antonio a Padova, di San Francesco ad Assisi o alla basilica di San Pietro a Roma con circa 7 milioni di visitatori l’anno,–, ma non si può non osservare che tutte le città, nonché i centri minori e i territori contermini, sono “depositari” di luoghi di culto che danno (o possono dare) origine a movimenti di persone, quando non a veri e propri flussi di viaggiatori.

I dati ISNART rivelano, inoltre, che il 59% dei flussi è rappresentato da turisti italiani e il 41% da stranieri, con un’età media compresa tra i 30 e i 45 anni e per il 51,2% di sesso maschile. Ugualmente rilevante, al riguardo, il fatto che oltre la metà dei turisti (56,4%) utilizza Internet per pianificare o gestire il proprio viaggio, con una prevalenza dell’88,1% per gli stranieri (ISNART, 2019). Un aspetto, quest’ultimo, non secondario, soprattutto se si considerano le potenzialità derivanti da adeguate azioni di promozione e rappresentazione dei territori che consentono di raggiungere un numero sempre più elevato di persone. Particolare rilievo assume, pertanto, anche l’identità del turista della fede, il quale, data la sua propensione eclettica, si differenzia da quello comune o dalla figura-tipo del pellegrino. Il pellegrinaggio risponde, infatti, ad un richiamo di carattere prettamente spirituale, che nella relazione pellegrino-spazio-sacro è proprio il sacro, non necessariamente identificato dal luogo di culto, a rappresentare il punto d’arrivo (di ascesi e perfezionamento) del cammino interiore di comunione con il divino. Il pellegrino è sostanzialmente un uomo di fede e il suo viaggio coincide con un’esperienza mistagogica che ha come presupposto il rapporto e il ricongiungimento con la divinità, a prescindere dai motivi che lo generano. Nel turismo religioso la motivazione legata alla fede è, invece, quando non un pretesto, solo uno dei molteplici aspetti che inducono al viaggio. La visita al luogo sacro e la partecipazione ad un evento turistico, religioso o di preghiera rappresentano, quindi, sfaccettature di esperienze culturali con differenti declinazioni. Il turista della fede è una figura più facilmente correlabile alle peculiarità e alle dinamiche che stanno alla base del turismo lento ed esperienziale. È maggiormente attratto dal genius loci, dalla natura, dall’arte, dalla storia dei luoghi e dalla possibilità di riscoprire una nuova dimensione interiore confrontandosi con contesti ancora non intaccati dalle logiche frenetiche che regolano la vita contemporanea (Podda & Secchi, 2019). Un’esperienza in cui turismo e sacralità rappresentano due facce della stessa medaglia, che coniuga l’homo viator, ossia l’uomo in ricerca della propria casa, rappresentata dalla sicurezza, dalla stabilità e dalla costante felicità, e l’homo religiosus, alla ricerca di Dio (Mejzner, 2014).

La distinzione tra turista religioso e pellegrino diventa, quindi, una condizione determinante nel differente e significativo impatto che possono avere sulle aree interessate dal fenomeno, poiché diverse sono l’attenzione e la reazione che tale condizione genera nei territori in termini di risposte capaci di soddisfare le esigenze del visitatore. La tipologia dei servizi offerti, infatti, è implicitamente connessa alla domanda e subordinata alle caratteristiche del territorio in cui si svolge l’evento, che condiziona, conseguentemente, la possibilità (o meno) di soggiorno e/o pernottamento dal quale possono derivare ricadute economiche tali da rivitalizzare l’intero comparto produttivo locale, soprattutto nelle aree interne o marginali. La qualificazione del “turista della fede”, a partire dalla sua provenienza e quindi dalla distanza geografica che lo divide dall’oggetto per cui si mette in movimento, diviene allora un elemento discriminante nell’orientare l’analisi predittiva delle condizioni e delle ricadute generabili dalla declinazione religioso-culturale dei territori, anche solo con l’attivazione di uno specifico evento. La rappresentazione dei percorsi processionali e dei territori di contesto – soprattutto quella virtuale e interattiva implementata per essere fruita in tempo reale sul web e sui device – diviene, così, lo strumento ideale per legare il fatto originante, che ha come scenario di riferimento un percorso, e lo spazio al cui interno si svolge, tenendo conto del tracciato e della realtà locale alla quale si riferisce nella maniera più comprensiva possibile. Una rappresentazione complessa, cioè, che non si limiti ad indicare i fatti in maniera puntuale, ma che metta in evidenza il legame o la connessione degli eventi col territorio e con la realtà geografica e paesaggistica in cui si manifestano, connotandola e relazionandola, poi, a tutte le opportunità di carattere culturale e ai servizi di possibile interesse del turista-pellegrino-fedele, il quale deve poter cogliere, attraverso la forza descrittiva e l’espressività della carta, il valore religioso, storico e culturale degli eventi che vi sono narrati.

I percorsi processionali tra storia e tradizione

All’interno di questa disamina, effettuata sulla base del movimento turistico legato alla fede, si inserisce la questione fondamentale oggetto della ricerca, ossia quella relativa alla distinzione, non sempre individuabile in maniera netta, tra i percorsi della fede tradizionalmente intesi e quelli processionali.

Il percorso ascetico, di purificazione e di espiazione, dei viaggiatori che intraprendono un pellegrinaggio e l’interesse dei turisti della fede verso gli aspetti culturali e naturalistici dei luoghi collegati al culto rappresentano aspetti comuni ai sentimenti che spingono le masse di fedeli a percorrere quelle che potremmo definire “vie delle processioni”.

Fin dai tempi più antichi, come accennato, le processioni – intese quali cerimonie liturgiche e manifestazioni pubbliche di fede e di devozione dal forte valore simbolico, vissute lungo un percorso urbano o extraurbano che richiama e accoglie un gran numero di fedeli[6] – rappresentano uno dei momenti più solenni delle feste religiose. Più precisamente, consistono in cortei, cioè movimenti durante i quali vengono portati gli oggetti cari alla devozione del popolo (immagini, statue, reliquie, libri, ecc.) i quali partono da un luogo della fede (solitamente un edificio di culto) e che, dopo un percorso cadenzato da canti e preghiere, rientrano nella stessa località riportandoveli solennemente. La simbologia, la storia, la tradizione scandiscono ogni momento della manifestazione[7]. Tutto concorre, oltre alla testimonianza della fede, a caricare l’atmosfera di forme e significati provenienti da quella summa di cultura derivante da un passato, a volte remotissimo, che ha lasciato un’impronta indelebile nei territori in cui si manifestano, offrendo ora anche ad altri, il turista-fedele, la possibilità di farne parte e di identificarsi con quel particolare contesto.

Un viaggio breve solitamente della durata di un solo giorno per partecipare ad un evento religioso – la processione – capace di connotare la geografia dei luoghi del culto e della devozione locale in maniera unica, intrinsecamente diversa dal consueto viaggio verso i principali luoghi della devozione che hanno segnato la storia delle religioni e dato vita alle forme più comuni e diffuse di turismo religioso, non solo a carattere locale, ma anche nazionale, internazionale e transnazionale.

La cerimonia processionale, centrata nelle nostre società sulla liturgia cristiana[8], appare perciò un fatto estremamente localizzato rivolto ai credenti del luogo in cui ha sede l’oggetto di culto, portato in corteo all’interno delle chiese, per le vie di un centro abitato e per le strade campestri lungo percorsi categoricamente fissati da eventi o credenze popolari e religiose associabili ad accadimenti straordinari e ricchi di significati. Ma è soprattutto il viaggio radicato nella cultura popolare che si ripete storicamente con regolarità verso una chiesa campestre (o un altro luogo di culto), talvolta ubicata in centri abitati differenti molto distanti fra loro, a generare i maggiori flussi di fedeli. Il bacino d’utenza di questo tipo di manifestazioni, proprio in virtù di tale peculiarità, non è limitato alla comunità in cui si svolge la cerimonia o è presente il simbolo del culto, ma si estende ai fedeli dei centri vicini e, sempre più spesso, in relazione alla particolarità o specificità dell’evento, è in grado di richiamare un alto numero di persone provenienti da località, se non estranee a quel contesto culturale, comunque geograficamente distanti[9].

In questo caso, l’andare in processione della consuetudine popolare può essere un fenomeno spontaneo, personale o condiviso, effettuato in occasione di ricorrenze particolari, solitamente le feste della tradizione, alle quali sono spesso associate cerimonie ed eventi laici. La sua celebrazione diviene così l’espressione più viva della cultura e il periodo della manifestazione rappresenta un momento fondamentale di promozione dell’evento, divenendo un “prodotto” tipico dell’offerta di quel territorio. Un caso emblematico può essere rappresentato da una delle più rilevanti processioni religiose della Sardegna che, a Cagliari, si ripete da oltre 350 anni (dal 1° al 4 maggio) in occasione della festa di Sant’Efisio[10]. Si tratta, forse, della più sentita manifestazione religiosa, espressione della cultura e dell’identità dell’Isola, che ha origine da “una Promessa solenne fatta l’11 luglio 1652 dalla città al suo protettore. Da allora è sempre stata onorata, ogni primavera, […] con profonda devozione” [11].

Oltre ad essere una delle più importanti e più antiche, quella di Sant’Efisio è anche la più suggestiva e lunga processione religiosa del Mediterraneo[12], che si snoda per circa 65 km attraversando il territorio di cinque comuni (Cagliari, Capoterra, Pula, Sarroch, Villa San Pietro), percorsi a piedi in quattro giorni. Come altre significative feste religiose della Sardegna, i suoi preparativi sono scanditi nell’arco di un intero anno[13] con riti che hanno origine nei cerimoniali del passato, i quali caricano


Figura 1 – Il cammino e tappe della processione di Sant’Efisio

l’evento di una solennità quasi ancestrale e fortemente simbolica. Spesso si tratta di “mondi” tradizionalmente dominati da sistemi elitari civili e religiosi – richiamati, nel caso di Sant’Efisio, dalle confraternite[14] e dall’Alternos[15] – caratterizzati da rigidi protocolli che si ripetono in maniera ritualizzata in tutte le fasi della manifestazione: nei momenti solenni della vestizione e durante il suo svolgimento; nello spostamento dal luogo della sua abituale permanenza; nella partecipazione di figure istituzionalizzate dalla tradizione con il ruolo di organizzare l’evento e l’onere di garantirne la sicurezza e la buona riuscita; nelle rappresentanze delle istituzioni civili e militari, coinvolte anche nella sicurezza del tragitto. Una ritualità e una simbologia che caratterizzano ogni momento della cerimonia, non trascurando neppure i mezzi deputati al trasporto della statua del Santo (e delle persone), e conferendo all’evento una forte carica emotiva emergente anche dalla tensione condivisa durante la processione e dai sentimenti di giubilo espressi dalla folla che assiste al corteo o, al rientro nella chiesa, alla svestizione della statua.

Nate spontaneamente oppure di organizzazione ecclesiastica, le processioni sono comunque eventi molto “categorizzati”, anche geograficamente, e di forte impatto collettivo che si ripetono nel tempo presentando risvolti attinenti alla sfera culturale e religiosa, nonché (e non meno importanti) di carattere sociale, economico e territoriale. I casi sono innumerevoli, ma sono quelle più popolari (e al di fuori degli scenari magnificenti delle città d’arte) ad essere più care ai devoti e a stimolare le riflessioni in tema di smart destination.

La processione: fede, turismo e rappresentazione

Alla luce delle considerazioni fatte finora, emerge un’implicazione caratterizzante il binomio fede-turismo che può essere posta attraverso una semplice domanda: può un evento legato alla devozione e già per sua natura portatore di valori culturali, antropologici e sociali, essere associato a dinamiche di carattere ricreativo o commerciale? Pur non mettendo in discussione i risvolti religiosi, in quanto prettamente attinenti alla sfera individuale e dipendenti dalla sensibilità e dal credo soggettivi, si possono invece affrontare, in questa sede, le tematiche inerenti agli aspetti esterni (seppur strettamente correlati) al “fenomeno processionale”, ossia quegli elementi impliciti ed espliciti propri della storia, della cultura, della tradizione locale e della geografia dei luoghi, i quali, a partire dalla fede, possono rendere la processione un elemento di attrazione capace di innalzare la competitività di un territorio. Una condizione che non può prescindere dalla conoscenza e dallo studio degli eventi considerati nonché dalle relazioni culturali e religiose che possono stabilire con contesti più ampi parte di un passato comune. Un approccio che consente di orientare la processione verso un’azione capace di suggerire agli attori locali investimenti in questa opportunità, volta ad arricchire la figura (e l’esperienza) del fedele attraverso vissuti culturali propri di destinazioni tipiche del turismo smart e di valorizzare il capitale umano e territoriale con conseguenze positive sull’economia.

Un’operazione non semplice che, a partire dalla traslazione del percorso processionale dal suo segno nativo di via della fede, può rappresentare una sfida importante per quei territori ad economia debole ma detentori di significativi patrimoni storico-culturali, architettonici, ambientali e paesaggistici ancora da valorizzare. Ciò anche per quegli eventi dal grande impatto popolare, il cui successo si è consolidato nel tempo, i quali hanno l’opportunità, a partire da questo esito, di rafforzare e strutturare l’offerta turistica anche in senso territoriale, come nel già citato caso di Sant’Efisio a Cagliari. In questo modo, diventa fondamentale affrontare il tema partendo proprio da presupposti di carattere geografico al fine di verificare (e monitorare) le implementazioni possibili, ovvero osservare se e come la processione, la quale si svolge con precise scansioni temporali in contesti territoriali specifici, possa essere foriera di un turismo emozionale, culturale e smart. Un concetto che può essere variamente proposto a partire dall’esempio dei contesti urbani (o di quelle regioni costiere che possono vantare un’offerta più ampia di quella balneare), laddove ci si avvantaggia di un orientamento turistico già definito, come quello artigianale, enogastronomico e artistico-culturale delle città d’arte, in cui il fenomeno appare complementare alle dinamiche già esistenti. In questi casi il percorso processionale segue uno schema consolidato e il richiamo turistico deriva dal suo rapporto o, meglio, dalla sua posizione rispetto agli altri elementi, come i già richiamati valori ambientali, storico-culturali e scenografico-emotivi della processione. Si possono rievocare, a titolo esemplificativo, quelle che scandiscono i riti della Settimana Santa quasi ovunque e che, in alcuni casi, divengono momenti di condivisione e di attrazione, soprattutto quando emerge lo stretto rapporto con tradizioni ancestrali. In questa casistica, il turismo non appartiene esclusivamente a categorie rurali-emozionali, anche se la partecipazione emotiva ai veri momenti di fede non può essere esclusa totalmente.

Diverso è, invece, il caso delle regioni rurali caratterizzate da un basso trend di crescita economica, le quali, pur contraddistinguendosi per le difficoltà di sviluppo aggravate dal decremento demografico e dallo spopolamento, sono frequentemente detentrici di territori incontaminati e unici dal punto di vista naturalistico e ambientale e di grande valore sotto il profilo storico-culturale. Un patrimonio presente pressoché in tutti i comuni dell’Isola, specie laddove sorgono chiese campestri, antiche basiliche o abbazie, solitamente chiuse e talvolta in stato di degrado e di abbandono, che conservano, silenziose, la memoria storica degli eventi che hanno contribuito a caricare i luoghi di suggestive atmosfere. Questi sono talvolta meta di processioni religiose che si svolgono in occasione delle festività dedicate al santo a cui sono intitolate e, in alcuni casi, ad esse si accompagnano manifestazioni capaci di attirare, oltre a fedeli e pellegrini, numerosi di spettatori. Un potenziale su cui sarebbe opportuno investire anche attraverso una diversificazione dell’offerta, nelle dinamiche di promozione turistica, nonché nella creazione di servizi capillari, pur rimanendo fedeli ai valori culturali e identitari che stanno alla base di quelle specifiche realtà. Spesso, infatti, tali opportunità rappresentano vere e proprie potenzialità inespresse, in quanto i riti processionali, tutti celebrati secondo antiche consuetudini e messi in discussione solo per necessità di adattamento alle nuove modalità di vita, sono già eventi di portata eccezionale che vedono la partecipazione di migliaia di persone, sulla cui presenza e fidelizzazione varrebbe la pena investire al fine di trasformare la processione in un brand cui legare il potenziale sviluppo del territorio. È il caso della festa in onore di San Costantino (Santu Antinu) celebrata in diversi centri dell’Isola, ma che acquista una connotazione particolare a Sedilo, piccolo comune posto al limite nord-orientale della provincia di Oristano che si affaccia sul lago Omodeo[16]. In Sardegna la devozione costantiniana dev’essere fatta risalire alle controversie legate al culto delle immagini tra la Chiesa e Leone III Isaurico, il quale confiscò i possedimenti della Chiesa romana in Sicilia e in Calabria e, successivamente, “con suo decreto del 732 staccò da Roma le diocesi dell’Italia meridionale e le legò al patriarcato di Costantinopoli. I vescovi latini furono sostituiti con presuli greci e il rito bizantino-greco fu introdotto al posto di quello latino. In quel periodo i culti orientali, tra cui quello di San Costantino, si radicarono profondamente nella popolazione” (Spada, 2013, p. 543). Fra i santi del calendario greco, Costantino Imperatore è senza dubbio il più venerato. Basti pensare che in Sardegna, come attestato da Spada (1989; 2013), gli edifici a lui intitolati sono numerosi e distribuiti su tutto il territorio isolano[17].

Figura 2 – Distribuzione geografica del culto di San Costantino

Rilevanti sono anche i resti di antiche chiese legate al Santo e l’attestazione diffusa di toponimi che fanno presumere una capillarità dei riti ad esso associati. Un fatto che, con ogni probabilità, è all’origine della partecipazione corale che trova il suo culmine nei riti celebrati a Sedilo, tanto da essere stato definito da alcuni “il Santo del popolo sardo”. Il culto (e le relative celebrazioni), seppur non con la stessa ritualità e spettacolarità e a prescindere dalla presenza o meno di edifici chiesastici, è presente in diverse località dell’Isola. La carta della figura 2, benché in maniera non esaustiva, cerca di ricostruire la distribuzione dei luoghi di venerazione dalla quale emerge una maggiore attestazione nel settore centro-occidentale dell’Isola che ricade, quasi interamente, all’interno della Provincia di Oristano, la quale potrebbe, in un’ipotesi di valorizzazione “reticolare” su vasta scala,

rappresentare uno dei soggetti promotori di un’eventuale iniziativa unitamente (ad esempio) alle diocesi interessate. Risulta evidente, anche da questa semplice immagine, come l’utilizzo dell’informazione territoriale, attraverso la visualizzazione analitica o di sintesi offerta dalle rappresentazioni (anche interattive e/o rese attraverso la realtà aumentata e comprensive delle specificità locali con l’intento di diffonderne la conoscenza), costituisce senza dubbio uno degli strumenti più adeguati ai fini della promozione e della comunicazione turistica.

A Sedilo, la manifestazione principale, l’Ardia (il termine deriva dal sardo bardia, bardiare, guardia, fare la guardia), può essere assimilata in alcune sue fasi ad un “corteo processionale”[18] composto da un nutrito gruppo di cavalieri, guidato da Sa Prima Pandela, che danno vita ad una manifestazione equestre unica ed evocativa di antiche ritualità in cui si commemora la battaglia di ponte Milvio del 312 d.C. tra gli imperatori Costantino e Massenzio. Il capo-corsa è affiancato da Sa Segunda e Terza Pandela e da Sas Iscortas con il compito di mantenere l’ordine nella corsa e di impedire alle cavalcature che seguono di avvicinarsi e superare Sas Pandelas, fatto che simbolicamente rappresenterebbe la sconfitta della cristianità.

Il rito dell’Ardia è ben delineato e scandito da una serie di momenti, ognuno dei quali con una connotazione specifica, che trasformano l’evento in tensioni e suggestioni continue e per i quali la comunità che vi assiste si identifica nei cavalieri facendo di loro autentiche personalità corporative. Successivamente alla benedizione e alla consegna degli stendardi (Sas Pandelas appunto) nel piazzale antistante la casa parrocchiale, il corteo formato dai cavalieri, preceduti dal parroco e dal sindaco, si muove in processione alla volta del santuario di San Costantino. Dopo una breve sosta a Su Fronte Mannu (in cui oggi è presente una statua del Santo e dove il parroco benedice i cavalieri), inizia la discesa verso Su Frontigheddu (dove si impartisce un’altra benedizione) da cui – non appena il parroco e il sindaco, ormai separati dal gruppo, imboccano il percorso verso la chiesa, annunciati dal ritmo cadenzato degli spari a salve dei Fucilieri che scandiscono ogni momento della manifestazione – ha inizio la corsa sfrenata verso il santuario passando attraverso l’arco che si apre nel muro di cinta. La tensione si riduce quando la manifestazione continua con i giri votivi intorno alla chiesa, seguiti dalla discesa al galoppo verso Sa Muredda (sorta di recinto al cui interno è una croce intorno a cui i fedeli accendono numerosi ceri), dove vengono svolti altri giri votivi, per poi risalire al galoppo verso il santuario. La corsa si chiude con una Messa solenne al termine della quale i cavalieri, attraversando un secondo arco (Su Portale ‘e ferru), si riuniscono nuovamente a Su Frontigheddu per fare a ritroso il tragitto che li ricondurrà alla casa parrocchiale. L’evento si ripete la mattina seguente, mentre in occasione dell’Ottava, la seconda domenica dopo il giorno della festa, la cerimonia si svolge con i medesimi rituali, le stesse fede, tensione e partecipazione, ma a piedi (Ardia a pe’), e con uguale susseguirsi di eventi che incantano le tante persone accorse per assistervi e, questa volta, per parteciparvi e condividere le emozioni sedilesi.

La descrizione dell’Ardia di Sedilo evidenzia la complessità di un fenomeno, anche processionale, le cui origini si perdono (e si legano) nella storia e che ripropongono, tramandandoli e istituzionalizzandoli nel tempo, i valori e i simboli di antiche ritualità. A prescindere dalle scansioni della processione e dalle loro intrinseche significazioni, è la corsa equestre a rappresentare il fulcro dell’intera manifestazione, riuscendo a creare un legame invisibile di tensione tra insider e outsider in cui ogni momento è vissuto con lo stesso pathos, nel quale si fondono fede, cultura ed emotività. Tali particolarità e ritualità, come risulta evidente anche dalla descrizione appena svolta, si prestano ampiamente ad essere descritte al turista-fedele attraverso strumenti che possono consentirgli di partecipare alla manifestazione “culturalmente”, così da coglierne il senso primario legato alla fede, alla storia, alla tradizione (quando non i pericoli). In questo modo, la rappresentazione dei movimenti, connotando i tragitti, i percorsi, le singole scansioni e specificando le varie fasi di svolgimento, contribuisce maggiormente a legare i valori al contesto, per orientare il significato della manifestazione dalla sfera culturale e della fede a quella turistico-ricreativa. Più precisamente, sarebbe come assegnare al fenomeno processionale una doppia valenza che associa il fatto religioso a quello turistico-pagano al fine di implementarne le potenzialità attrattive sotto il profilo territoriale. La figura 3, che descrive il percorso processionale ed entra nello specifico delle singole fasi della corsa, cerca di illustrare in maniera essenziale questi aspetti, evidenziando come la rappresentazione possa contribuire a far cogliere il senso della processione, ancorandola ai luoghi e al contesto e trasformandola in un fatto territoriale di notevole rilevanza di cui tenere conto nei possibili percorsi di valorizzazione e di sviluppo locale. In questo caso, le differenti scale di rappresentazione, senza trascurarne l’unitarietà, scandiscono i diversi momenti dell’evento per chiarirne le relazioni spaziali e legare simbolicamente i valori dei tragitti della fede ai luoghi specifici da cui hanno avuto origine. La carta intende avere carattere esemplificativo, ma potrebbe essere implementata anche attraverso un webGIS, il quale consentirebbe di relazionare la rappresentazione con contenuti di carattere esplicativo e conoscitivo. Un viaggio virtuale che la cartografia consente di effettuare parallelamente all’esperienza tangibile nei luoghi della festa, in condizione di fornire quelle conoscenze atte a rendere i partecipanti più consapevoli e attenti ai valori ed ai significati della religiosità e della cultura popolare ma, soprattutto, a radicare maggiormente quell’evento in quei luoghi esprimendo al meglio la sua “natura” geografica e culturale.

Figura 3 – L’Ardia: significati e significanti

Al di là di questo, non si può non sottolineare l’utilità, senza dubbio più determinante, che la rappresentazione può avere all’interno dei processi di valorizzazione territoriale, soprattutto se espletati attraverso azioni di marketing. In tale evenienza, la carta può fornire una sintesi dei valori culturali e ambientali, ponendo le processioni, con l’indicazione degli eventuali luoghi di sosta, di preghiera, ecc., su un piano di lettura primario rispetto al contesto da cui trae origine. Il disegno, in virtù del suo forte valore evocativo, può costituire, pertanto, uno strumento importante per avviare o supportare il processo di diffusione della conoscenza del territorio su cui ha luogo la processione, la quale diviene l’elemento intorno a cui costruire, o definire, un Sistema Territoriale Locale (STL), che può interessare uno o più comuni, nonché il suo spazio di riferimento. Il STL potrebbe così rappresentare l’unità spaziale di base (Guido & Pino, 2019) per avviare percorsi di marketing incentrati sulla processione che, quando accolta dagli attori territoriali, consentirebbe di sperimentare operativamente il connubio relativo alla connessione tra sacro e profano, tra fedele e turista, tra emozione della preghiera e godimento dei prodotti territoriali, materiali e immateriali. A prescindere dall’attivazione o meno di un processo di valorizzazione territoriale così strutturato, resta il fatto che la carta può contribuire a innescare un dibattito sul significato della relazione processione-territorio. L’esempio proposto rappresenta, pertanto, solo un aspetto schematico di questa capacità rispetto al potere informativo, e quindi attrattivo, che può invece derivare da una strutturazione più complessa e completa, intorno alla quale intravedere un mondo ancora da esplorare in senso culturale e territoriale.

Conclusioni

I percorsi processionali assumono rilevanza come beni culturali immateriali, i quali non sono da ritenere meno preziosi o meno capaci di custodire e manifestare l’identità del popolo che li ha prodotti rispetto a quelli materiali. Ancora, tuttavia, si sente l’esigenza di difenderne lo statuto e la dignità e questo perché le disposizioni normative tengono conto prevalentemente dei beni culturali materiali, per i quali esiste una compiuta ed analitica disciplina. Ciò non significa, però, che nel nostro ordinamento sia stata rinnegata l’esistenza della categoria dei beni immateriali o l’idea di una loro tutela giuridica, ma piuttosto che questa idea richieda, per natura e per obiettivi, la messa a punto di strumenti ed istituti giuridici adeguati e diversi da quelli delle cose (Severini, 2000, p. 12).

La Convenzione quadro sull’etica del turismo adottata dalla Risoluzione A/RES/722(XXIII) dell’Assemblea Generale dell’UNWTO (2020), infatti, sostiene che i viaggi a fini sanitari, educativi, culturali e spirituali sono particolarmente vantaggiosi e meritano incoraggiamento (art. 5) e l’attività turistica dovrebbe essere pianificata in modo tale da consentire ai prodotti culturali tradizionali, all’artigianato e al folklore di sopravvivere e prosperare, precisando che particolare attenzione dovrebbe essere dedicata alla conservazione dei monumenti e dei luoghi di culto, ai quali non dovrebbero essere posti ostacoli eccessivi all’accesso del pubblico, fatte salve le normali esigenze di culto (art. 7).

Sulla base di queste considerazioni, e con particolare riguardo ai fatti culturali immateriali in vista di una loro possibile nuova identità normativa, il presente contributo, orientato secondo i criteri della geografia culturale, si inserisce proprio nel quadro della valorizzazione di quell’inestimabile patrimonio dal forte spessore identitario rappresentato dagli itinerari processionali di festa che caratterizzano ogni parte della Sardegna, e non solo. La chiave di lettura utilizzata è forse inusuale, ma non per questo priva di potenzialità nella prospettiva di ricadute economiche su territori che, a rischio di marginalità, si presentano estremamente ricchi di capitali culturali, naturali e paesaggistici in grado di supportare azioni mirate di marketing territoriale o processi di sviluppo su base culturale.

L’analisi delle processioni, considerate come fenomeni complessi caratterizzati da una molteplicità di aspetti in cui il sacro si mescola al profano, coinvolgendo la dimensione interiore dell’individuo, non poteva non rilevare i contenuti culturali, talvolta ancestrali, che disegnano la storia dei territori da cui hanno avuto origine legandosi alla geografia dei luoghi: il sistema transitare-accedere-sostare è il vero conduttore di senso che, non essendo immediatamente focalizzato sulla chiesa-meta, richiama la nativa condizione umana del viandare. Il sito verso cui si orienta l’atto del transitare processionale non è più semplicemente spazio. Esso diviene luogo in quanto parte di azioni significative (il rito) il cui rilievo deriva dalla pregnanza e dalla stabilità dei valori che vi si associano (Farinetti, 2012). Emerge, pertanto, come si è cercato di dimostrare, il duplice ruolo di queste celebrazioni: quello primario rituale-cultuale e quello complementare, costituito dalle pratiche sociali del procedere verso tali luoghi che si articolano ad un ambiente celebrativo divenendo sequenza rituale (Conte, 1996).

L’elaborazione di aspetti legati al significato storico, religioso e mistico del procedere assieme secondo schemi rigidamente definiti dalla tradizione e dal tempo, di fatto ha permesso di cogliere una serie di legami tra l’immaterialità della fede e la realtà dei territori nei quali si svolgono le processioni, consentendone una rivisitazione quale processo culturale da considerare in una visione prospettica di promozione, valorizzazione e sviluppo di forme di turismo lento, emozionale, esperienziale e, soprattutto, smart.

L’oggetto del “procedere” è stato colto ed elaborato graficamente attraverso il richiamo alle celebrazioni processionali in onore dei Santi Efisio a Cagliari e Costantino a Sedilo, dense di segni e significanti che consentono di relazionare in maniera diretta la partecipazione popolare, il territorio e i simboli alla processione intesa (in questo caso) come un valore tipicizzante e competitivo in grado di generare nuove, e non comuni, prospettive di sviluppo.

Entrambi i casi di studio hanno dimostrato le potenzialità attrattive insite nell’evento da cui possono derivare esternalità territoriali, manifestate dall’elevato numero di fedeli-partecipanti.

La rappresentazione cartografica dei percorsi che caratterizzano questi eventi, seppur essenziale, ha cercato di mostrare, soprattutto nel caso di San Costantino, il movimento della processione attraverso differenti scansioni le quali, se corredate di ulteriori contenuti, sarebbero in grado di trasferire maggiori informazioni volte a favorire l’integrazione culturale del turista-fedele nelle atmosfere locali. Un approccio che ha aperto la strada a differenti valutazioni, all’interno delle quali la carta può essere vista non solo come mezzo capace di rappresentare l’evento considerato, ma anche strumento di promozione generale del territorio in condizione di cogliere e mettere a sistema tutto il contesto geografico in cui si svolge la processione: il culto per il fedele (turista) e il territorio per il turista (fedele).

Declaration

L’impostazione e la ricerca bibliografica sono comuni a entrambi gli autori, ma a C. Podda sono da attribuire i paragrafi 1, 4, 5, 6 e a P. Secchi i paragrafi 2, 3, 7.

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Cite this article

Podda C., Secchi P. (2021) Sacræ Stationes. Religious processions, cartography and emotional tourism as prerequisites for local development: possible cases of “smart destinations”. EATSJ - Euro-Asia Tourism Studies Journal, Vol.2021, ( Special Issue in Italian ). https://doi.org/10.58345/LAZY6723.

Received: | Accepted: | Published online: 28 November 2021
Volume: 2021 | Issue: Special Issue in Italian |

DOI: https://doi.org/10.58345/LAZY6723

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Authors


CP

Cinzia Podda (Corresponding author)
Dipartimento di Storia Scienze dell’Uomo e della Formazione- Università degli Studi di Sassari (Italia)


PS

Paolo Secchi (Corresponding author)
Dipartimento di Storia Scienze dell’Uomo e della Formazione- Università degli Studi di Sassari (Italia)

Sacræ Stationes. Religious processions, cartography and emotional tourism as prerequisites for local development: possible cases of “smart destinations” by Cinzia Podda, Paolo Secchi is licensed under Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International